E così mi ritrovo ancora quassù a non so quanti metri di altezza con questo fagotto dietro la schiena che mi opprime. Ma non è la fatica: il peso che preme appena lo sento, sono piume d’uccello, tappi di sughero, meringhe spumose e leggere; è questo sentirmi avvolto e legato, piuttosto, a rendermi appena nervoso.
E da queste parti come al solito c'è poco da fare: si scende veloci, si cade, ci si accontenta della sfida passiva tesa dall'aria gelata che attraverso la tuta non riesce a passare. Il sole lassù, coperto da un velo di nubi, è un disco a malapena visibile di luce anodina che non brucia e non acceca.
Guardo il paesaggio venirmi incontro. La massa indistinta del quadro iniziale è ormai diventata una cartolina dai contorni sempre più netti e tra non molto sfumerà nel primo piano di un punto imprecisato giù in basso che mi aspetta.
Mi sorprendo a rivivere intatto il ricordo della prima volta: le gambe tremanti, le voci degli altri che mi infondevano coraggio e infine la spinta. Scoprii così che la terra non era altro che un'enorme calamita potentissima e ingorda di corpi. Rabbrividii quando capii che reclamava anche il mio, come se le fosse appartenuto da sempre. E da allora non ho mai smesso di chiedermi a che giovi questa specie di gioco, se sempre si torna coi piedi per terra, mammiferi identici a prima, insoddisfatti per essere stati per qualche minuto soltanto un uccello mancato, privo di ali, capace soltanto del volo in picchiata, di precipitare.
Eppure quello che accade oggi dentro di me è un fatto così insolito che a stento riesco a descriverlo. Vedo dissolversi in me l’amara coscienza di essere solo un bolide di carne rinchiuso in una goffa livrea di tessuto sintetico, mal visto e tollerato dal cielo.
Più mi avvicino al suolo più sento bruciare la smania di riuscire in un'impresa preclusa agli uomini.
Mi fingo sospeso, inerte, immune alla forza gravità, e inizio a sognare; mi vedo imboccare una scia, penetrare il soffio leggero di una corrente ascensionale che mi faccia riprendere quota.
La cifra che segna l’altimetro rimpicciolisce inesorabilmente e una voce dettata dalla ragione mi fa segno che è ora di smetterla di fantasticare, mi persuade che è tempo di sventolare nel cielo la vela del paracadute, come una bandiera ammainata in segno di resa. Ora un raggio di sole scampato alle nubi mi investe, la leva che sporge dal petto emette un bagliore accecante che sa d’ultimo avvertimento.
Ma stavolta non sento di avere paura. Devo soltanto indovinare il luogo e l'istante preciso.
Ecco: scorgo alcune sagome di alberi e il profilo distinto di una roccia che buca il manto immacolato della neve; vedo comparire minuscole alcune sparute figure di animali. Sento la terra chiamare col suo risucchio di spaventoso buco nero.
Ci sono. Il luogo perfetto per apprendere il volo deve essere questo.
Non seguirà alcuno schianto.
Del resto non è forse quaggiù, a qualche decina di metri dal suolo, che l'aria e più densa d'uccelli?
Herman Winckler
giovedì 10 ottobre 2013
lunedì 7 ottobre 2013
Calvo sotto la luce
Trascriviamo oggi un documento inedito, conservato presso il Fondo Scaccabarozzi dell'Archivio Multimediale della Cineteca della Svizzera Italiana (AMCSI). Si tratta di una bozza per un soggetto cinematografico a cui Scaccabarozzi lavorò durante l'estate del 2001. La pellicola, che avrebbe dovuto intitolarsi Calvo Sotto la Luce, non fu mai portata a termine a causa del dissesto finanziario che colpì inaspettatamente la casa di produzione Films de l'étoile, che aveva sostenuto il progetto dell'autore.
Il documento fa parte della collezione di manoscritti recentemente donata dalla duchessa Leila von Schlager, prima moglie del regista, al Fondo Scaccabarozzi.
Nella toilette di un locale notturno, ove si era recato per espletare le fisiologiche impellenze che il suo corpo reclamava, un uomo nel fiore degli anni scorge nello specchio che ha di fronte (sotto l'occhio impietoso delle luci al neon) i segni di un'incipiente calvizie.
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