Vorresti
credere di essere solo, ma loro ti guardano. Sono lì, in attesa,
somigliano a neri corvi lucenti.
Stanno
forse ridendo?
Ma
certo, ridono. Li hai visti benissimo darsi di gomito, coprirsi la
bocca per non fare rumore. Hai visto i loro sguardi meschini
intrecciarsi e brillare di tetra complicità. È di te che ridono.
Da
tempo ormai immemore affollano i tuoi giorni e le notti senza
concederti tregua. Ti danno tormento e invano tu fingi di non curarti
di loro.
Davanti
a te c’è il foglio bianco, lo stesso che provi a riempire da
sempre, senza riuscire. Le tue dita contratte giacciono immobili sul
tavolo, bloccate, inservibli.
Eppure
sai che ora è giunto il momento. Non puoi più sottrarti, non devi.
Chiudi
gli occhi un secondo, li riapri, cominci.
Ma
ecco che anche essi cominciano.
Le
loro ombre si moltiplicano intorno a te e prendono a girare
vorticosamente. Il fragore è insopportabile, riecheggiano nell’aria
tonfi e schiamazzi. Urla strepitanti rimbombano sulle pareti.
Vorresti
combattere, ma a malapena riesci a portare le mani alle orecchie per
proteggere i timpani dallo strazio.
Hai
appena osato sfidarli, ma vorresti tornare già indietro, scendere a
patti. Maledici la sprezzante, vana impennata di orgoglio che solo un
attimo prima ti ha colto.
E
ti sorprendi persino a pregare – lo avresti mai detto? – affinché
essi, stanchi di te, sfiancati, ti abbandonino un giorno in favore
di un altro bersaglio meno tenace.
Ma
credi davvero che ci sia limite alla loro ostinazione?
No.
Non resta che avanzare loro una proposta, di tregua, o, addirittura,
di amicizia. Se essi non conoscono la resa o la disfatta,
ammetteranno di certo il compromesso, il mercimonio. Un’ammissione
di inferiorità non potrà che deliziarli.
Ecco
già che le loro voci si affievoliscono. Ti lasciano prendere fiato,
hanno capito, ti accolgono.
Ti
avvicini per offrire loro un pezzetto della tua anima, il primo, e
attendi fiducioso la loro prossima mossa.
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