Signore e signori,
Siamo qui riuniti per rendere omaggio a un uomo eccezionale che ci ha purtroppo lasciati; ed è con gli occhi traboccanti di lacrime, le mani tremanti e il gelo nel cuore che mi accingo a prendere parola qui su questo pulpito per commemorarlo davanti a tutti voi, che a lui foste legati in vita da un profondo legame di affetto e che ora ve ne state in silenzio - il capo chino - a compiangerlo dignitosamente.
In un momento così triste vorrei solo abbandonarmi al mio dolore e trovare conforto al dolce ricordo del tempo insieme a lui trascorso, ma l’onere di cui mi trovo investito mi obbliga a tacere della mia personale nostalgia; dunque, dacché oggi sono chiamato a consegnare nelle mani della collettività il ricordo di un grande spirito del nostro tempo, non già all'uomo in carne e ossa, che tutti noi abbiamo conosciuto, innalzerò questa prece, ma all'artista imperscrutabile e alla grandezza della sua opera, che a onta della stessa morte farà sentire ancora a lungo la sua viva e scabrosa presenza.
Aveva Fulvio Scaccabarozzi al momento del trapasso appena cinquantatré anni, metà dei quali trascorsi quale protagonista tra i più discussi della vita culturale del nostro Paese. Nessun artista come lui fu tanto amato e nessuno come lui fu tanto osteggiato; e per gli stessi identici motivi: per la sua disperata vitalità, per lo sguardo lucido e profetico con cui riusciva a percepire tutte le contraddizioni della nostra epoca, per le sue accuse coraggiose, che tante volte hanno fatto vacillare le stanze del potere.
Fu un'esistenza, la sua, intemerata, condotta senza remore sempre all'insegna dello scandalo, della bestemmia, dell'anatema scagliato contro la cattiva coscienza di questo Paese e dei suoi sepolcri imbiancati.
Si attirò per questo un esercito di nemici, fatto di piccoli colleghi invidiosi, benpensanti d'ogni sorta e detrattori professionisti, che vivevano delle loro insulse bagarre montate ad arte all'uscita di ogni suo nuovo film.
Perché tutti ora fingono di non ricordarsene, ma fino a un minuto prima che l'aneurisma cerebrale lo stroncasse nel bel mezzo delle riprese del suo ultimo film, erano ancora vive le polemiche suscitate dalla famosa intervista rilasciata ai microfoni di Radio Lumière.
"Grande sdegno" egli aveva infatti suscitato, quando aveva dichiarato di voler rappresentare in quella sua nuova pellicola - Cronaca di un sorpasso a destra - una fenomenologia del sorpasso dai sorprendenti risvolti sociologici. Aveva destato "enorme clamore" la simpatia che egli aveva lasciato trapelare nei confronti del protagonista del film, un cupo pirata della strada, e degli ideali che animavano la sua missione; aveva infatti "osato definirlo" un antieroe romantico, un ribelle che sfidando la tirannia del codice stradale denunciava la nevrosi competitiva degli automobilisti come metafora dei rapporti di potere tout court.
Non voglio ora ricordare come la polemica balzasse agli onori della cronaca prima ancora che chiunque potesse vedere un solo fotogramma della pellicola incriminata; e non starò a precisare come molte delle voci che oggi profondono in coro attestazioni di stima sono le stesse che ieri, gonfie di rabbia e di indignazione morale, gridavano allo scandalo e alla provocazione gratuita; tacerò persino di quei folli che osarono reclamare punizioni drastiche ed esemplari, censure, interdizioni, condanne per chissà poi quale apologia di reato, e tutto in nome di una stolida morale, «per lavare il sangue delle vittime dell'asfalto», dicevano, e quant'altro.
Ma resta un fatto evidente: queste voci infervorate che ieri facevano tanto baccano, ora tacciono ipocritamente; ma è cosa nota a tutti: la morte, specie se prematura, monda, agli occhi di quelli che restano, l'anima dell'estinto di tutte le colpe; specie se presunte. E così è accaduto che anche su Scaccabarozzi sia calato, come un sudario, il velo di un ossequioso silenzio; un silenzio che vorrebbe accreditarsi come rispetto, ma che assorda forse più dell'incessante brusio che ha accompagnato sinora ogni discorso sulla sua opera.
Ma a noi, che oggi non abbiamo voluto tacere gli oltraggi e nemmeno intendiamo nasconderci dietro la vacua retorica della commemorazione, quali parole restano da pronunciare, in questo torvo pomeriggio di novembre, per tributargli il doveroso omaggio? Come far sì che questa celebrazione non soffochi il suo prezioso insegnamento in un'aspra nube d'incenso? Resto ancora persuaso che l'unico modo sia quello di ricordare quanto di più profondo e veritiero egli ci ha donato: la sua arte; solo così noi non staremo piangendo in vano l'effimera vita di un uomo, ma potremo lodarla in eterno.
Si affastellano nella mia mente, come una folla di spettri benevoli, tutti i personaggi fuoriusciti dalla sua mente e catturati dalla sua cinepresa. Ognuno di noi sa quanto egli li considerasse vivi, reali: «adorate creature da amare alla stregua di figli», diceva, lui che figli non aveva mai avuto.
Ah, quante cose hanno saputo insegnarci queste maschere malinconiche, questi individui dalle intuizioni profetiche, questi testimoni lunari di mondo in sfacelo! E' solo attraverso le loro vicissitudini che si disvela innanzi a noi il testamento morale di Scaccabarozzi!
Credo valga davvero la pena ora di rievocare, per quanto bizzarro possa sembrare in questa circostanza, alcune delle storie di questi indimenticabili protagonisti.
Storie piene di speranza come quella di Mariano Caccavella, il drammaturgo pugliese che dopo una lunga crisi d'ispirazione trovò riscatto con il dramma classicheggiante Anche Tarquinio Prisco era Superbo, un'amara e disincantata satira sul vortice di vanità in cui è destinato a precipitare ineluttabilmente l'uomo di potere; o come quella di Giuseppe Cervi, il disoccupato trentenne che, dopo aver frequentato un corso di mediatore civile della durata di otto settimane promosso dal comune di Pavia, riuscì incredibilmente, al primo incarico, a riportare la pace in Medio Oriente.
Storie grottesche e disperate come quella di Noli me tangere, triste racconto della solitudine e dell'isolamento di un uomo colpito da un'inspiegabile ipertrofia dell'uovo prossemico.
Ma anche favole edificanti, come quella di Ferdinando, il piccolo scolaro che fu risucchiato dal suo libro di grammatica e vi rimase a lungo intrappolato sotto forma di gerundio; o quella del Toro dalle froge di cristallo, le cui narici si appannavano a ogni suo poderoso respiro, senza mai poter rifulgere in tutto il loro splendore fintanto che l'animale restò in vita.
Storie fatte di piccole ossessioni e consequenziali fallimenti, come quella del celebre pianista moscovita Sergej Speraffaroff, che singhiozzava ogni qual volta bisognava azionare il pedale del forte e per questo fu costretto ad abbandonare i suoi amati Lizst e Chopin per darsi dolorosamente al clavicordo; o quella di Sandor Tarr, il pornoattore ungherese emigrato in Svezia, che in preda all'ansia da prestazione doveva misurarsi prima di ogni scena il pene con il metro usa e getta dell'IKEA.
Storie di nemesi inattese, come quella del povero Hans Stüssi, il banchiere svizzero dal pessimo karma, che si vide reincarnato nel cane di un punkabbestia e fu costretto a condurre una vita di stenti accanto al suo crestuto padrone, ramingo sì, ma senza il conforto della libertà di vagabondare per conto suo dove gli pareva; o come quella di Ciro, il vampiro napoletano che il 19 settembre, durante le celebrazioni della festa di san Gennaro, scippò la sacra ampolla dalle mani del celebrante e ne bevve, tra lo stupore degli astanti, il contenuto appena liquefattosi, in segno di protesta contro le discriminazioni nei confronti dei membri della sua specie.
Questa lista potrebbe continuare all'infinito, vertiginosamente. Sarebbero ancora tanti i personaggi e le storie che vorrei qui ora ricordare; ma ho deciso di fermarmi, certo che sappiate voi stessi completare questo elenco.
Non ho nulla da aggiungere, se non confessarvi il mio rammarico per averlo poco frequentato recentemente e non averlo sostenuto in questi ultimi momenti, che immagino esser stati per lui molto difficili. Ma vi avevo promesso che oggi non avrei indulto al mio personale dolore. Lascierò dunque questo podio con un inno alla sua gloria imperitura, parafrasando i celebri versi del poeta che egli amò in vita forse più di ogni altro: «Saccacarozzi [sic] visse, Scaccabarozzi vive, Scaccabarozzi vivra!»
Non ho nulla da aggiungere, se non confessarvi il mio rammarico per averlo poco frequentato recentemente e non averlo sostenuto in questi ultimi momenti, che immagino esser stati per lui molto difficili. Ma vi avevo promesso che oggi non avrei indulto al mio personale dolore. Lascierò dunque questo podio con un inno alla sua gloria imperitura, parafrasando i celebri versi del poeta che egli amò in vita forse più di ogni altro: «Saccacarozzi [sic] visse, Scaccabarozzi vive, Scaccabarozzi vivra!»
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